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21 agosto 2008

Il caso LANCOME: profumo di dubbi

Stefano Sandri


La decisione del TPI nel caso LANCOME (T-160/07, 8 luglio 2008), non ha effetti pratici, dal momento che la LANCOME ha ritirato la domanda di re
gistrazione, ma presenta interesse sotto due profili, quello dell’interesse ad agire della ricorrente nella procedura di annullamento davanti all’UAMI, e quello della distinzione tra marchio suggestivo o evocativo – come tale pur sempre valido, ed un marchio descrittivo perche colpito dal motivo assoluto di rifiuto di cui all’art.7(1)(c) RMC.

Quanto alla prima questione, il Tribunale ricorda la distinzione tra motivi assoluti e motivi relativi, ribadendo che nel procedimento di annullamento, che in questo caso rimane di natura amministrativa , e non giurisdizionale- quando l’azione viene basata sui primi non è richiesto uno specifico interesse ad agire che, del resto, la norma di riferimento art. 55 (1)(a) RMC non prescrive. Ne consegue che non è applicabile l’art. 79 RMC che rinvia ai principi generali degli Stati Membri solo in assenza di espressa disposizione nel Regolamento.

La distinzione tra motivi assoluto e relativi assume dunque ancora una volta importanza decisiva nel sistema comunitario e visto, che ci piaccia o no, che con esso dobbiamo convivere, bene avrebbe fatto il nostro legislatore nazionale anche in sede di CPI (dove la mia proposta è rimasta minoritaria) a seguirla invece che disattenderla con pervicace resistenza.

Quanto alla questione dei marchi c.d. suggestivi o evocativi, il TPI pr
ende l’occasione per riconfermare la propria giurisprudenza in base alla quale il consumatore di riferimento deve esercitare uno sforzo intellettuale per associare il segno ad una caratteristica (qualificante perché determinante dell’identificazione) del prodotto, che non viene quindi percepito direttamente, perché possa ritenersi non applicabile l’impedimento assoluto della descrittività.

Aperta rimane invece la questione se questo sforzo intellettuale debba ricadere o meno nel concetto della percezione del segno (la decisione ricorre più volte al diverso termine di comprensione) quella percezione su cui la consolidata giurisprudenza fa sempre più leva. Se in
fatti la riflessione e l’analisi razionale dovesse fare parte delle funzioni cognitive superiori della percezione ne conseguirebbe scientificamente, prima ancora che giuridicamente, che il collegamento con le caratteristiche descrittive dei prodotti avrebbero comunque luogo, a prescindere dalla intensità delle energie intellettuali impiegate.

Non mi pare che tra la scelta d’impulso di un pacchetto di patatine fritte e quella certo più ragionata di una Mercedes 300 SL dovrebbero esserci differenze, quanto al marchio: o funziona o non funziona.

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