Stefano Sandri
“… l’impressione d’insieme prodotta dai marchi in conflitto, tenendo conto dei loro elementi distintivi e dominanti, non può creare, tra loro, una somiglianza sufficiente a comportare un rischio di confusione agli occhi del consumatore”.
Così aveva lapalissianamente concluso il TPI (5 aprile 2006, causa T-344/03, Saiwa/UAMI – Barilla Alimentare) nella comparazione tra i marchi “Selezione Oro” (vedi immagine) della Barilla e “ORO” della Saiwa. Ora la decisione è definitiva, dopo il rigetto da parte della CDG (C-245/06 P, del 9 marzo 2007) del ricorso presentato dalla Saiwa. Fin qui, niente di strano, vista la missione impossibile della Saiwa nel sostenere la distintività del termine “ORO” nel settore alimentare e la sua rinomanza in unione a Saiwa.
Quello che peraltro stupisce è che tutti gli argomenti della ricorrente esaminati dal TPI, sono stati riproposti tali e quali davanti alla Corte. Inevitabile, pertanto, il loro rigetto dal momento che erano palesemente “diretti ad ottenere dalla Corte che essa sostituisca la sua valutazione dei fatti a quella operata dal Tribunale”.
Domanda principale: ma c’era proprio bisogno di sentirselo dire dalla Corte di Giustizia?
Domanda in subordine: ma c’era proprio bisogno che si scomodassero i più illustri colleghi della PI in Italia, dopo che la Corte del Lussemburgo sul marchio comunitario è stata per anni ‘snobbata’?
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