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20 agosto 2007

Lettere e numeri: marchi deboli o forti?

Vieri Canepele

Il marchio alfabetico o numerico, composto anche da un’unica lettera o cifra, può essere registrato o difetta di sufficiente capacità distintiva? Inoltre, è un marchio debole la cui proteggibilità si estende alle sole imitazioni pedisseque o estremamente accentuate ovvero è un segno che può anche essere fortissimo e godere addirittura di una tutela extra-merceologica? Che una lettera, o un numero, anche isolatamente considerati, possano costituire valido marchio registrato è oggi, a seguito di annosi dibattiti, specie dottrinali, esplicitamente ammesso dall’art. 7 del c.p.i... Più complicata è la questione relativa all’ambito di protezione di tali segni. Da tempo la giurisprudenza, ed autorevole dottrina, sosteneva che il marchio alfabetico o numerico, specie se composto da singoli elementi, costituisse un tipico esempio di marchio “debole”, scarsamente proteggibile data la difficoltà di accordare a singoli imprenditori il monopolio sull’utilizzo di segni impiegati quali strumenti di comunicazione quotidiana. Essendo marchi “deboli”, la loro protezione veniva fatta, in ultima istanza, dipendere da una loro particolare caratterizzazione grafica capace di renderli originali (cfr. Cass. Civ. 3109/1983 e 9827/1994). Sul punto è di recente intervenuta la Suprema Corte che, con sentenza n. 14684 del giugno 2007, ha sgombrato il campo da pericolosi equivoci, chiarendo pochi ma preziosi concetti di riferimento. Anzitutto ha ribadito che i marchi composti da lettere o cifre, anche singole ed anche se privi di una particolare caratterizzazione grafica, sono suscettibili di registrazione ai sensi dell’art. 7 del c.p.i. Inoltre, e qui sta il nuovo, non debbono essere considerati marchi “deboli” ipso facto dovrebbero essere ritenuti a priori segni deboli. Ma la Corte va oltre. Affermare la debolezza di questi segni costituisce un vero e proprio errore di diritto dovuto alla sovrapposizione di piani concettuali distinti. Infatti, a parere della Corte, non bisogna confondere l’utilizzo di numeri e lettere in funzione puramente , e cioè soltanto perchè composti da segni che possono avere utilizzazione diffusa nel linguaggio corrente, in quanto la debolezza del marchio è concetto che attiene la capacità dello stesso di evocare o descrivere il tipo di prodotto o servizio da esso contraddistinto. E’ del resto evidente che il marchio “A” di Alemagna o “V” di Valentino non evochi né descriva alcunché circa i prodotti di riferimento, quindi non si vede perchècomunicazionale con il loro impiego in funzione distintiva, propria dei marchi. Se si considerano i numeri e le lettere come puri strumenti di linguaggio, nessuna privativa è su di essi pensabile in quanto essi non sono utilizzati in funzione di marchio. Diverso però è il caso in cui essi siano chiamati ad assolvere una funzione distintiva di un certo prodotto in quanto su di essi potrà costituirsi un diritto di esclusiva da azionare nei confronti di tutti coloro che, successivamente, facciano uso dei segni in questione quali marchi. In summa, il marchio registrato costituito da lettera/e (es. A o B) o numero/i (es. 1 o 2) nulla potrà nei confronti dei soggetti che utilizzino gli stessi come puri strumenti di comunicazione imprenditoriale (es. modello 1, modello 2 di una certa serie, serie A e serie B di un certo prodotto). Ciò è, del resto, chiaramente sancito dall’art. 21 comma 1 del c.p.i. laddove si dice che “i diritti di marchio (...) non permettono al titolare di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica (...) d’indicazioni relative (...) alla quantità (...) al valore (...) all’epoca di fabbricazione o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio”. Qualora, tuttavia, il numero o la lettera oggetto di registrazione venisse ad essere utilizzata dal concorrente con finalità distintive dei propri prodotti o servizi, l’azionabilità del marchio registrato sarebbe possibile, anche al di fuori dei limiti dei c.d. marchi “deboli”. La forza ovvero la debolezza del segno andrà, infatti, valutata caso per caso, a posteriori, e non aprioristicamente come invece per lungo tempo parte della dottrina e della giurisprudenza hanno sostenuto.



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