Lorenzo Litta
Nel giugno 2004, il Tribunale di Sanremo aveva assolto un cittadino extracomunitario dai reati di ricettazione e detenzione per la vendita di alcuni orologi con marchi contraffatti (solo 21 orologi in totale).
Il Tribunale, interpretando erroneamente le norme del Codice Penale, aveva ritenuto che i prodotti sequestrati, trattandosi di contraffazioni di beni di lusso, dunque usualmente destinati ad una clientela particolarmente selezionata, non fossero confondibili con gli originali, tali cioè in termini di legge da non ledere l'affidamento dei cittadini sulla provenienza ed inidonei a sviare la clientela, al punto da non poter ledere il business dei produttori degli originali. Ciò in quanto secondo la Corte il bene giuridico protetto dall'ordinamento con gli artt. 473 e 474 c.p. è esclusivamente la pubblica fede, che in questo tipo di lesione non subisce alcuna lesione, aggiungendo che "il mercato del falso con tali caratteristiche ha tali dimensioni da renderlo riconducibile al notorio sicchè è da escludersi che esista persona convinta che l'ambulante senegalese possa vendergli griffes autentiche per pochi Euro".
Il Pubblico Ministero, supportato dall'intervento dei titolari dei marchi coinvolti già costituitisi parte civile, ha prontamente chiesto l'annullamento di tale decisione per erronea applicazione della legge penale, richiamando anche che il Tribunale di Sanremo aveva impropriamente equiparato la "tutela della buona fede" alla "tutela del consumatore".
Infatti la ratio dell'art. 474 c.p. è proprio nell'impegno che lo Stato assume nei confronti dei cittadini relativamente alla genuinità del prodotto ed alla protezione dalla contraffazione dei segni distintivi e di certificazione che ledono non solo l'affidamento del consumatore ma sopeattutto la credibilità certificatoria dello Stato stesso. Inoltre con tale norma il legislatore ha inteso tutelare non la libera determinazione del singolo acquirente ma l'affidamento dei cittadini nei marchi (la c.d. "pubblica fede") che individuano i prodotti/servizi e ne garantiscono la circolazione.
La Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del PM ribadendo che il reato tutela la fede pubblica e quindi non solo del compratore occasionale ma della generalità e l'interesse delle imprese titolari dei marchi contraffatti a mantenere certa la propria funzione distintiva e la garanzia di provenienza. Peraltro secondo la Cassazione la modestia del prezzo e le particolari condizioni della vendita non sono sufficienti a rendere il compratore avvertito che si tratta di merce contraffatta.
La Corte, rinviando gli ati alla Corte d'Appello di Genova, ha sottolineato che l'attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione non deve essere valutata nel momento dell'acquisto (o non solo in quel momento) ma in relazione alla possibile utilizzazione dei beni contrassegnati da marchi o segni distintivi contraffatti.
La perplessità maggiore che viene messa in luce da questo caso è legata alla mancanza di preparazione specifica su questi temi delle Corti Penali e quindi alla arbitrarietà alla quale si possono trovare di fronte gli operatori anche nel momento della conferma del sequestro. Inoltre in circostanze come questa il decorso del tempo tra l'esecuzione del sequestro (nel 2002), l'assoluzione dell'imputato (nel 2004), la pronuncia della Suprema Corte (nel settembre 2008), il rinvio e la decisione della Corte d'Appello (nel 2010? 2011?) rende anche inefficienti le misure di reazione intraprese, che si dimostrano comunque necessarie ad evitare precedenti negativi come quello del Tribunale di Sanremo
Le considerazioni di cui sopra per segnalare, nell'ambito della geografia e della dinamica di una strategia anticontraffazione, come questo caso sia sintomatico delle difficoltà che spesso ancora si incontrano nella prosecuzione dei sequestri presso i Tribunali meno soliti a trattare casi di violazione di diritti di Proprietà Industriale.
Il Tribunale, interpretando erroneamente le norme del Codice Penale, aveva ritenuto che i prodotti sequestrati, trattandosi di contraffazioni di beni di lusso, dunque usualmente destinati ad una clientela particolarmente selezionata, non fossero confondibili con gli originali, tali cioè in termini di legge da non ledere l'affidamento dei cittadini sulla provenienza ed inidonei a sviare la clientela, al punto da non poter ledere il business dei produttori degli originali. Ciò in quanto secondo la Corte il bene giuridico protetto dall'ordinamento con gli artt. 473 e 474 c.p. è esclusivamente la pubblica fede, che in questo tipo di lesione non subisce alcuna lesione, aggiungendo che "il mercato del falso con tali caratteristiche ha tali dimensioni da renderlo riconducibile al notorio sicchè è da escludersi che esista persona convinta che l'ambulante senegalese possa vendergli griffes autentiche per pochi Euro".
Il Pubblico Ministero, supportato dall'intervento dei titolari dei marchi coinvolti già costituitisi parte civile, ha prontamente chiesto l'annullamento di tale decisione per erronea applicazione della legge penale, richiamando anche che il Tribunale di Sanremo aveva impropriamente equiparato la "tutela della buona fede" alla "tutela del consumatore".
Infatti la ratio dell'art. 474 c.p. è proprio nell'impegno che lo Stato assume nei confronti dei cittadini relativamente alla genuinità del prodotto ed alla protezione dalla contraffazione dei segni distintivi e di certificazione che ledono non solo l'affidamento del consumatore ma sopeattutto la credibilità certificatoria dello Stato stesso. Inoltre con tale norma il legislatore ha inteso tutelare non la libera determinazione del singolo acquirente ma l'affidamento dei cittadini nei marchi (la c.d. "pubblica fede") che individuano i prodotti/servizi e ne garantiscono la circolazione.
La Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del PM ribadendo che il reato tutela la fede pubblica e quindi non solo del compratore occasionale ma della generalità e l'interesse delle imprese titolari dei marchi contraffatti a mantenere certa la propria funzione distintiva e la garanzia di provenienza. Peraltro secondo la Cassazione la modestia del prezzo e le particolari condizioni della vendita non sono sufficienti a rendere il compratore avvertito che si tratta di merce contraffatta.
La Corte, rinviando gli ati alla Corte d'Appello di Genova, ha sottolineato che l'attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione non deve essere valutata nel momento dell'acquisto (o non solo in quel momento) ma in relazione alla possibile utilizzazione dei beni contrassegnati da marchi o segni distintivi contraffatti.
La perplessità maggiore che viene messa in luce da questo caso è legata alla mancanza di preparazione specifica su questi temi delle Corti Penali e quindi alla arbitrarietà alla quale si possono trovare di fronte gli operatori anche nel momento della conferma del sequestro. Inoltre in circostanze come questa il decorso del tempo tra l'esecuzione del sequestro (nel 2002), l'assoluzione dell'imputato (nel 2004), la pronuncia della Suprema Corte (nel settembre 2008), il rinvio e la decisione della Corte d'Appello (nel 2010? 2011?) rende anche inefficienti le misure di reazione intraprese, che si dimostrano comunque necessarie ad evitare precedenti negativi come quello del Tribunale di Sanremo
Le considerazioni di cui sopra per segnalare, nell'ambito della geografia e della dinamica di una strategia anticontraffazione, come questo caso sia sintomatico delle difficoltà che spesso ancora si incontrano nella prosecuzione dei sequestri presso i Tribunali meno soliti a trattare casi di violazione di diritti di Proprietà Industriale.
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