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19 dicembre 2007

Natale 2007 ‘Xmas card - La vera storia di Caino ed Abele: un contributo all’interpretazione semiologica dei segni distintivi

Stefano Sandri

E’ Natale, siam tutti felici e contenti, etc. etc. etc. E’ tempo di pace. Mi pare quindi giusta una riflessione sulla violenza (va pure di moda), anzi sul primo atto di violenza documentato ed accertato, quello di Caino contro Abele, un must nel suo genere.

Dunque Caino, becero, aggressivo, ignorante, furbetto e violento, avrebbe accoppato Abele, mite, remissivo, raziocinante e un poco democristiano. Del resto avremmo mai potuto immaginare che un Kaino inkazzato non avrebbe assestatato una bella tortorata ad un abeeelante Abeeele, l’abbacchietto di turno, già votato al sacrificio, anche perché probabilmente un po’ noiosetto?

Se parliamo di nomi e di segni del destino, semantica, semeiotica, Umberto Eco e comunicazione vanno a braccetto. Se il futuro di un uomo sta già scritto nel suo nome, figuriamoci se un Kaino avrebbe mai beccato da un Abeeele!. Ma andiamo…

Controprova: potete immaginare un Giandomenico Scaccabarozzi ala tornante della Juve? Pensate invece ad un Gunnar NORDHAL, mitico centrattacco del Milan pre-pre-berlusconiano. Quello aveva nel nome una cannonata. Quando entrava in area di rigore i portieri, terrorizzati dall’idea di imminenti fratture, si mettevano da parte invitandolo graziosamente a segnare. Grazie che divenne capocannoniere, con un nome così! Ai giorni nostri, il problema di Clemente (sic!) Mastella è tutto lì: non può funzionare come Ministro della Giustizia . Ce lo vedete a comminare pene tremende e sanzioni incondonabili? Al massimo il buon Clemente poteva fare
il sottosegretario all’agricoltura.

Pare invece che tra Caino ed Abele le cose non siano andate esattamente così come ce la raccontano i sacri testi ed accreditano illustri professori. Purtroppo nella traditio orale, prima che scritta, ci deve essere stato un qualche errore, sapete un po’ come quando uno dice una cosa ad un altro un po’ duro di orecchi, e questi ad un altro e ancora un altro, finchè si incappa in un sordo come una campana, e… buona notte.

E’ Abele in realtà che ha fatto fuori Caino. Eh sì, è proprio così che devono essere andate le cose. In realtà Abele era uno che pensava, magari non aveva il fisico adatto, ma pensava. Caino non poteva che essere un rompiscatole, manesco e ottuso con cui non si riusciva mai a fare un discorso sensato. E daje e ridaje il povero Abele, dopo tutte le angherie e smanacciate quotidianamente subite, deve aver perso la pazienza. Qui c’era di mezzo la storia universale dell’umanità, scusate se è poco e la possibilità di passare, appunto, alla storia. E Abele, doveva essere uno che a queste cose ci faceva caso.

Così, prima deve essersi inventato una qualche scusa intellettualoide, del tipo il primato dell’intelletto, la “superiorità del fratello ariano”, etc., e altre scemenze del genere insomma, tanto per tacitare la sua coscienza, e poi, giù la gran botta. Ma una cosetta tranquilla, ragionata e studiata, mica una sconsiderata legnata, tirata lì sul momento da un incazzatissimo (chissà poi perché) Caino.

Insomma un’operazione alla Tarantino di Pulp & Fiction. Una violenza tranquilla e normale, naturale, albertina, diremmo ai giorni nostri. Pare, ma le fonti storiche non sono univoche sul punto, che Abele, dopo, si sia accesa una Marlboro, Marlboro Country naturalmente, e del tutto rilassato si sia lasciato scappare un :” Oh, finalmente…”.

Se le cose stanno così, come la mettiamo però con la storia dei nomi ed i destini del mondo? Bisogna metterci una pezza, sennò figurarsi gli storici, i semiologi, i comunicatori, i filologi, i sapientoni…

Diciamo subito che, secondo una ben precisa dinamica del linguaggio (cfr. in materia il poderoso studio Percepire il marchio), le parole ed i nomi tendono a semplificarsi e quindi perdono dei pezzi – più o meno inutili – con l’andare del tempo. Questo è certamente accaduto per Abele, che all’origine stava per “von Abel”. Il “von” è caduto, pazienza, poi si è aggiunta una “e”. Poco male. Sta di fatto che ci corre una bella differenza tra un “von Abel” e un “Abele”, tra un nome che ricorda un Oberstarzt della Wehrmacht e quello del belante abbacchietto di cui sopra.

E poi si può dare una lettura rovesciata di Caino: Caino” per “ca-gnolino”, ponendo l’accento sulla “i”. In tal modo avremmo “Caiiino, che se non è un guaito di un botolo, poco ci manca.

Rimesse a posto le cose anche dal punto di vista della nomenclatura lessicale, è dunque arrivato il momento di dire una volta per tutte, nell’interesse della verità storica, che Abele era un gran fijo de na, alla Tarantino se si vuole, ma che ci ha preso tutti per i fondelli per qualche migliaia d’anni.

Pace e bene.



1 commento:

Anonimo ha detto...

e che dire del capo della polizia "manganelli" :))