Lorenzo Litta
Si inizia col botto. Quello del tappo che accarezza con la grazia di un pachiderma il soffitto sospinto da cotanta energia gassosa. Iniziamo dallo champagne, dunque. Lo Champagne è un vino-spumante della regione Champagne, situata nel nord-est della Francia. E questo lo sappiamo tutti. Champagne è però anche un paesino della Svizzera, nel cantone di Vaud, che ha una lunga tradizione nella produzione del vino. E questo non tutti lo sanno. Dunque nasce il contrasto, scontato. La denominazione "champagne" è una AOC (appellation d'origine contrôlée), corrispondente all'italiana DOC (Denominazione di Origine Controllata). Il comune di Champagne aveva dovuto rinunciare nel dicembre 1998 a riportare il nome Champagne sui vini (non spumanti) prodotti nel suo territorio - di 28 ettari - in virtù di un accordo internazionale stipulato tra la Svizzera e l'Unione europea. Per la stessa ragione anche lo stilista Yves Saint-Laurent ha dovuto annullare il lancio di un profumo al quale aveva deciso di dare il medesimo nome. Non basta. Il Comune Svizzero non si arrende. Terminati i due anni di coesistenza consentiti dall'UE, alcuni produttori di vino ritengono che i propri diritti siano stati lesi dall'accordo e decidono di andare dinanzi alla Corte: "champagne" svizzero e "champagne" francese hanno pari dignità in quanto omonimi e sono liberamente utilizzabili da entrambi sia in Svizzera che nell'UE. Il Tribunale di Prima Istanza (T-212/02 Commune de Champagne v. Conseil) ha tuttavia respinto con ordinanza lo scorso mese di Luglio, e nemmeno con sentenza come suggerisce Alexander v. Mühlendahl, ritenendo inammissibile l'istanza. Nell'Ordinanza la Corte è attenta a distinguere il contesto svizzero da quello comunitario (motivo per il quale competenti erano i fori svizzeri) rimandando ad un esame del caso sulla base dei TRIPs, della legislazione comunitaria in materia di vini ed alla legislazione nazionale svizzera. Vincono ancora i più forti? Decisione rimandata? Cosa ne pensate?
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