Stefano Sandri
Gli amici di IPKat hanno condotto una indagine informale per sapere quali sono i paesi meno desiderabili per installarvi una causa di contraffazione in proprietà industriale. Per il 32% è sfavorita la Russia e la cosa è del tutto comprensibile, visto che il diritto in quel paese non è mai stato ‘certo’. Le imprese italiane che hanno tentato di difendere i loro più prestigiosi marchi dai più ignobili e pretestuosi saccheggi, ne sanno qualcosa. Più sorprendente invece il 21% degli USA, dove evidentemente i costi spropositati delle liti finiscono per avere una forte incidenza negativa. Seguono la Cina (16%) e l’India (10%), nella quale ultima la protezione brevettuale, specie nei farmaceutici, appare sempre critica. Quanto alla Cina, che sta rivedendo in particolare la sua legge marchi (anche l’UIBM è stato, udite udite, consultato), la domanda fondamentale al momento è, come si dice a Roma, ci fanno o ci sono? In altre parole, da un lato vengono date assicurazioni e assunti impegni solenni per tranquillizzare le imprese occidentali, dall’altro assistiamo a clamorose quotidiane violazioni dei diritti di P.I. e alla irresistibile tentazione di tutto un sistema ed una cultura dello scopiazzo e dei più disinvolti illeciti concorrenziali (vedi Mattel e dintorni). E l’Italia? L’indagine non lo dice, vista lo totale assenza di qualsiasi statistica in merito. Forse i consulenti e gli avvocati hanno le idee più chiare, ma credo che la propensione ad accettare o proporre le controversie nel nostro paese debba nettamente distinguere tra i procedimenti urgenti ed i giudizi di merito. Data la ignoranza all’estero di quello che succede da noi, non ci sarebbe da stupirsi comunque se la credibilità del nostro sistema giurisdizionale ricada in quella (assai scarsa) di quella del nostro Paese nel suo insieme.
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