Mauro II
Nei due giudizi T-262/04 e 263/04, il Tribunale di Prima Istanza (TPI) ha rigettato l’appello della società francese BIC presentato contro il rifiuto di registrazione come marchio tridimensionale da parte dell’esaminatore dell’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI) e delle Commissioni di ricorso, del famoso briquet. Secondo la giurisprudenza del TPI sui marchi tridimensionali, non c’è ragione di richiedere, almeno in linea di principio, un livello di distintività più severo di quello adottato per i marchi “tradizionali” (fonetici, figurativi o misti). Tuttavia, nell’analisi del caso concreto, il TPI ha affermato il principio per cui i consumatori sarebbero meno abituati ad attribuire ai marchi di forma il valore di indicazione di provenienza del prodotto da una impresa piuttosto che da un'altra, a meno che gli stessi non vengano in qualche modo “educati” a percepire sul mercato il segno in tal senso. L’UAMI, dunque, pur affermando in principio l’equiparazione dei marchi non convenzionali (sonori, tridimensionali, di movimento, ecc…) a quelli tradizionali anche rispetto ai requisiti di registrabilità, nella pratica conferma un orientamento interpretativo piuttosto restrittivo, volto a negare la concessione di privative proprio a tipologie di marchi meno convenzionali.
8 commenti:
Sempre il solito discorso, in teoria i marchi non convenzionali esistono, parole e parole per spiegarli e analizzarli, ma, nella realta', vengono costantamente considerati simil-marchi, marchi di secondo rango (se non oltre!!!), e le autorita' competenti non permettono l'effettivo riconoscimento del valore che incorporano... che sia da ricollegare nuovamente alle percentuali della percezione mostrateci da Cogno??? Penso proprio di si...
Casomai Bic abbia provato a registrare la forma mostrata nell'immagine, il rigetto ci può stare, ma non è assolutamente condivisibile la motivazione addotta, in particolare nella parte in cui sostiene che "i consumatori ancora devono essere educati alla percezione di tali nuovi marchi"!!
Mi chiedo difatti, se non verranno concessi tali nuovi tipi di marchi e non si permette loro di circolare in maniera tutelata, come sarà mai possibile educare i consumatori a percepirli per vie non convenzionali?!?
Mi trovo perfettamente d'accordo con la tua osservazione, dopottutto se la percentuale di percezione del senso della vista è così schiacciante (cfr. lezione Cogno), l'unica alternativa è cominciare ad "allenare" gli altri sensi per riequilibrare almeno un pò dette percentuali. E quale metodo migliore, se non cominciare ad abituarsi e a riconoscere marchi "diversamente percepiti/bili"?!?
Io penso che in questo caso non rilevi tanto la questione della diversa percezione dei 5 sensi ricordata da Laura e Flavio: anche per i marchi 3-D, infatti, la vista gioca un ruolo primario.
Penso piuttosto che la decisione abbia ripreso la definizione tradizionale di consumatore medio, accentuando la tesi per cui il ricettore dei segni distintivi abbia una limitata capacità percettiva: a detta del giudice, infatti, questi non sarebbe in grado di percepire come distintivi i segni 3-D! Ancora una volta, purtroppo, si tende a generalizzare e forse a non motivare a sufficienza le proprie decisioni!
Che ne pensate?
Siamo d'accordo: interpretazione (eccessivamente!?) restrittiva. Ma siamo sicuri che innanzi alle forme di accendini che si evidenziano nel post il marchio c.d. "top of mind" risulterebbe indiscutibilmente Bic?
Il problema in effetti sta proprio, come sottolineava Mauro II, nel fatto che si tende ad appiattire verso il basso la capacità percettiva del consumatore, che non sarebbe in grado, mediamente, di attribuire valore distintivo ad una forma a tre dimensioni. Nel caso dei marchi tridimensionali, a mio modesto parere, non viene coinvolto il solo senso della vista, basti pensare che durante l'infanzia il modo di percepire lo spazio, le dimensioni e le forme è più tattile che visivo ed è forse una delle principali difficoltà che il bambino nella crescita incontra...
Ribadisco la correttezza della decisione concreta, in quanto la forma, casomai fosse quella dell'immagine, difetta di distintività!!
Ribadisco inoltre l'assoluto disaccordo con la motivazione addotta, ma, trattando il caso in maniera più astratta e a fronte dei recenti spunti indicati da Mauro II, vorrei porre l'attenzione sulla quasi totale mancanza di giurisprudenza in merito alla concessione di tali tipi di marchi; mancano quindi i precedenti, e questi vengono tenuti in conto dal giudice europeo, anche se magari non alla stregua di quello anglosassone.
Può quindi ricondursi anche a una volontario comportamento di prudenza da parte della commissione di turno, per scongiurare richieste troppo pretenziose (quale quella trattata nell'articolo).
In caso di legittime richieste di registrazione negate solo sulla base di una (peraltro supposta!!) limitata capacità percettiva del consumatore si rischia di sconfinare in una vera e propria mancanza di coraggio in merito all'avviamento di quella che sarebbe una vera e propria svolta nella materia dei segni distintivi.
A mio parere il problema è che anche le Corti che si trovano a giudicare sui diritti di proprietà intellettuale non riescono a vincere la tendenza conservatrice tipica dei Paesi di civil law...
Se in certe materie si è giunti a un livello di pietrificazione del diritto a cui è ormai difficile porre rimedio, almeno coloro che maneggiano quotidianamente la propretà intellettuale dovrebbero dimostrarci di essere capaci di "vedere oltre". E invece...
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