Enrico Cogno
Si racconta che all’angolo di una via ci fosse un cieco che appeso al collo aveva un cartello con la scritta: “Cieco dalla nascita”. Riceveva poche elemosine. Passò di lì un pubblicitario che gli modificò il cartello. Poiché le offerte fioccavano, il cieco, quando lo incontrò nuovamente, volle sapere cosa avesse scritto. “Il messaggio è lo stesso, ho solo cambiato la strategia di comunicazione” gli rispose il copywriter. “E cosa hai scritto?” domandò il cieco, curioso. “E’ il primo giorno di primavera e non posso vederlo”.
Questo aneddoto, riportato da Jaques Sequela, sottolinea il fatto che la comunicazione può risultare più efficace se utilizza la modalità del racconto, che amplifica il “potere di convocazione” della fonte trasmittente e consente maggior chiarezza e sintesi. Una volta agganciata l’attenzione del fruitore si potrà proseguire con gli approfondimenti del caso. Di solito (a mio avviso inopportunamente) si fa il contrario: prima di enuncia il postulato, la teorizzazione, l’assioma, poi si fornisce un esempio. Non costerebbe nulla fare prima l’esempio, anche in forma aneddotica: ci garantiremmo una maggiore attenzione e comprensione.
Perché così pochi lo fanno? La risposta è di una ovvietà disarmante: “Perché non lo si è mai fatto”. In realtà, per essere innovativi, basterebbe smettere di fare lo cose come si sono sempre fatte ma vi è una forte resistenza ad applicare questi semplici concetti innovativi. Eppure, come ricorda il prof. Connant, rettore della Haward University, “La tartaruga fa progressi solo quando esce dal guscio”.
Siamo pieni di esempi che dimostrano che la sintesi è preferibile all’essere prolissi. Quando chiedevano al grande Michelangelo cosa mettesse nella sua arte per scolpire così bene, rispondeva: “Non metto nulla, levo solo il superfluo. Dentro la pietra c’è la statua.”
Non stiamo marciando, spesso anche nelle università, nella direzione giusta: i nuovi linguaggi invadono il mondo, è sempre più difficile capirsi, viviamo in un momento di diluvio comunicativo
Questo aneddoto, riportato da Jaques Sequela, sottolinea il fatto che la comunicazione può risultare più efficace se utilizza la modalità del racconto, che amplifica il “potere di convocazione” della fonte trasmittente e consente maggior chiarezza e sintesi. Una volta agganciata l’attenzione del fruitore si potrà proseguire con gli approfondimenti del caso. Di solito (a mio avviso inopportunamente) si fa il contrario: prima di enuncia il postulato, la teorizzazione, l’assioma, poi si fornisce un esempio. Non costerebbe nulla fare prima l’esempio, anche in forma aneddotica: ci garantiremmo una maggiore attenzione e comprensione.
Perché così pochi lo fanno? La risposta è di una ovvietà disarmante: “Perché non lo si è mai fatto”. In realtà, per essere innovativi, basterebbe smettere di fare lo cose come si sono sempre fatte ma vi è una forte resistenza ad applicare questi semplici concetti innovativi. Eppure, come ricorda il prof. Connant, rettore della Haward University, “La tartaruga fa progressi solo quando esce dal guscio”.
Siamo pieni di esempi che dimostrano che la sintesi è preferibile all’essere prolissi. Quando chiedevano al grande Michelangelo cosa mettesse nella sua arte per scolpire così bene, rispondeva: “Non metto nulla, levo solo il superfluo. Dentro la pietra c’è la statua.”
Non stiamo marciando, spesso anche nelle università, nella direzione giusta: i nuovi linguaggi invadono il mondo, è sempre più difficile capirsi, viviamo in un momento di diluvio comunicativo
Nessun commento:
Posta un commento