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10 gennaio 2008

Se un bicchiere di buon vino non fa la differenza

Stefano Sandri


Alcune delle ultime sentenze del Tribunale di Prima Istanza presentano aspetti interessanti. Nel caso T-101/06 del 14 Novembre 2007, Castelli del Remei S.L. v. Bodegas Roda S.A., il TPI ha ritenuto confondibili il marchio internazionale RODA ed il marchio composto Castelli del Remei - ODA, ritenendo, a ragione, che in quest’ultimo fosse dominante il termine ODA e che RODA non fosse sufficientemente diverso.

I prodotti – vini ed alcolici – sono stati ritenuti identici. A questa conclusione la sentenza perviene, nonostante dal punto di vista fonetico francamente qualche perplessità permane, sulla base dell’identificazione del consumatore rilevante.

Si tratta infatti di quello di Danimarca, Germania, Francia, Italia, Austria, Finlandia, Svezia, Regno Unito e Paesi del Benelux, come si evince dalla registrazione anteriore fatta valere dall’opponente. Ne consegue che occorre tener in considerazione la percezione dei marchi in conflitto nel contesto di quei mercati (50). A nulla serve obiettare che in italiano e spagnolo la parola RODA ha anche un significato di senso compiuto, perché “basta che si dimostri la inesistenza delle differenze concettuali tra i segni in conflitto in uno solo dei territori in cui è protetto il marchio anteriore perché le eventuali somiglianze fonetiche o visuali vengano neutralizzate” (69).

Inoltre, viene confermata l’irrilevanza di tutto ciò che resta fuori dall’ambito formale di protezione della domanda di registrazione, come nella fattispecie la circostanza che il vino sarebbe di pregio e prezzo elevato per cui il consumatore sarebbe – secondo la tesi della ricorrente – particolarmente attento e selettivo. In proposto la sentenza è tranchant: "la somiglianza dei segni in conflitto deve valutarsi unicamente in relazione ai marchi tali come si presentano nel registro o vengono registrati" (61), il che esclude anche, tra l’altro, che possano avere rilievo le altre informazioni che normalmente sono incluse nelle etichette del vino. Visto che secondo la giurisprudenza della Corte (LLOYD) il livello di attenzione del consumatore può dipendere dalla natura del prodotto, i vini di che trattasi “sono prodotti di consumo corrente rispetto ai quali il pubblico rilevante è il consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e intelligente (52)”.

Tutta colpa quindi del richiedente che non ha saputo o voluto identificare nella domanda con precisione il suo target? Comunque, dato che il prodotto si inferisce (N.B. rinvio al concetto di inferenza della semeiotica della percezione) proprio dalla domanda, siamo così sicuri che nell’accertamento della proteggibilità di un marchio di un prodotto da vino possiamo escludere in termini perentori il dato notorio che vede quei prodotti presentati sempre con una etichetta con cui il consumatore si confronta, esperto o meno che sia? O non è forse credibile che proprio i ragione dell’inserimento in una etichetta dovrebbe richiedersi all’elemento dominante un grado di incisività superiore?

I buon gustai sono avvertiti.

1 commento:

Blogmaster ha detto...

Non sono d'accordo con quanto sostenuto dal TPI.

Ciò che resta fuori dalla domanda di protezione, ma che comunque contribuisce in modo determinante alla costituzione del marchio, DEVE essere protetto in quanto elemento fondamentale del segno stesso.