Stefano Sandri
Giudici della Corte di Giustizia, giudici nazionali, avvocati generali e membri delle Commissioni di Ricorso dell’UAMI si sono confrontati ad Alicante nell’ultimo simposio biennale sul marchio e sul disegno comunitario per gli ultimi aggiornamenti. Tutti d’accordo? Neanche per sogno, e fin qui la notizia non sarebbe certo sensazionale. L’impressione è quella che il diritto comunitario, dopo una prima fase di consolidamento, specie attraverso la giurisprudenza di merito del Tribunale di Primo Grado, si sta attorcigliando su sé stesso attraverso una serie di interventi della Corte di Giustizia sempre più sofisticati e di difficile interpretazione. Sentenze come il caso THOMSON LIFE, (www.marchiocomunitario.it, 24 e 25/2006), OPEL (07/2007), ZIR/SIR (21/2006) e NOKIA, con tutti i loro distinguo ed eccezioni alle eccezioni delle regole generali, fan venire il mal di testa. Sembrano invece avere le idee più chiare gli Avvocati Generali che si rendono conto che non ci si può discostare troppo dal contesto del mercato e da come i consumatori percepiscono il marchio. I ricorrenti problemi dei marchi complessi, degli elementi c.d. dominanti, della confondibilità per associazione, dell’affinità tra prodotti/servizi, della rilevanza dell’uso divengono allora molto più comprensibili, come nel caso LIMONCELLO che ho analizzato, ad esempio, secondo il principio della regola percettiva della ridondanza nel mio libro (SANDRI, Percepire il marchio). Conferma la validità di questo orientamento l’ampio consenso che ha suscitato il mio intervento (forse perché ero l’unico italiano invitato al Symposium, a parte la delegazione ufficiale) rivolto a smantellare la tesi barbina che l’applicant, per ottenere la registrazione di un marchio non-convenzionale o di forma, dovrebbe comprovare davanti all’esaminatore che i consumatori di specie sarebbero già familiari con questi tipi di segni, altrimenti non riconoscibili.
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